Inesistenza
Parlava e tossiva.
Camminava tra la gente.
Sorrideva e tossiva.
Parlava sorridendo.
A volte qualcuno sembrava
persino risponderle.
Ma solo perché in quell’attimo
qualsiasi frase sembrava
poter essere interpretata
come risposta convincente.
Era solo un’impressione.
Era solo una coincidenza.
Nessuno le rispondeva.
Nessuno poteva.
Nessuno poteva sentirla.
Passava accanto alle persone
e le piaceva ogni tanto
accennare un sorriso.
Ma nessuno le rispondeva.
Nessuno poteva vederla.
Nessuno si accorgeva di lei.
Se toccava qualcuno,
erano spallate.
Nessuno era in grado
di farle una carezza.
Sfiorarla senza farle male.
Nessuno poteva accorgersi
di toccare il suo corpo,
divenuto tanto minuto
da dissiparsi nell’aria
in quel giorno.
Nessuno la percepiva.
A volte si sedeva a terra
in un viale trafficato.
Le automobili veloci
non sobbalzavano
neanche mentre la investivano.
Neanche le cose, la materia,
il mondo si accorgeva di lei.
E per lei ogni volta
era una nuova morte.
E dopo ogni morte
si risvegliava sempre
nella stessa congiuntura
spazio-temporale.
Nel suo letto, nel suo giorno.
Ricominciava a vivere
smemorata regina,
sentendosi ancora viva,
credendosi ancora reale.
Cominciava a vivere
finché non si accorgeva
di non esistere.
Di non essere un essere
vivente, di non essere.
Essere un ricordo,
qualcosa che forse c’era
e che forse un altro giorno
potrà ancora essere.
Ma non in questo giorno,
non in questo oggi che
la memoria ha sbiadito.
Lei non esisteva,
ma poteva tossire.
E poteva morire,
proprio come se esistesse.
Poteva morire, anche senza
aver vissuto davvero.
E poteva fare la pipì.
Anche in mezzo alle strade
affollate di gente.
Anche in mezzo alla piazza
principale della città,
tanto nessuno l’avrebbe
mai guardata storto.
Nessuno la guardava,
nessuno la vedeva.
Col tempo si abituò
a non esistere in quel giorno.
La sua esistenza trovava
un senso solo in lei.
Lei non ricordava mai
di aver già vissuto
in quel giorno
la sua non-esistenza.
Ma i suoi gesti, pallido
ricordo dell’istinto che fu,
ne trattenevano
un vago sentore
tra le note di una vecchia
canzone, inneggiata
con rabbia pisciando.
I gesti iniziarono
a dirigerla, a spostarla,
a trattenerla all’interno
dell’essenza dell’inesistenza.
La sua esistenza trovava
un senso solo in lei.
Nel nido di una melodia.
Non rivolgeva più
la parola a nessuno.
Non sorrideva, continuava
solo a tossire ogni tanto.
E si scostava da tutti
per non ricevere spallate.
E cantava a squarciagola
facendo pipì per strada.
Si abituò a non esistere
in quel giorno.
Si abituò ad aspettare.
Si abituò ad aspettare il domani.
.
.
Forse è ancora là che lo aspetta sonnolenta.
Oziando, vagando, pisciando per le strade.
Suicidandosi ogni volta che è stanca di camminare.
E svegliandosi ogni mattina sempre lì nel suo letto.
Di malumore isterico fino alla orinata mattutina.
.
O forse ha trovato il suo domani.
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